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DALLA ZONA ROSSA DEL LODIGIANO, IL GRIDO DI UN PICCOLO EDITORE: LO STATO CI HA DIMENTICATI.  

Il 90% dei piccoli editori sta morendo.

L’editoria è solo uno dei tantissimi settori colpiti dalla attuale crisi economica, che segue l’ancor più grave crisi sanitaria in cui il virus Covid-19 ha gettato il Paese.

Tuttavia, c’è una differenza. Perché l’intero comparto editoriale non è incluso nel piano di aiuti previsto Decreto-legge 17 marzo 2020: una “dimenticanza” – volontaria o meno – che rischia di incidere in modo drammatico sulla sopravvivenza della quasi totalità dei piccoli editori. Tantissime piccole e medie imprese, gestite prettamente a livello familiare, che con il loro lavoro costituiscono una voce indipendente al di fuori del mainstream, dando spazio ad autori, storie e realtà lontane dalle ottiche di interesse delle major. Imprese che danno un contributo fondamentale alla cultura della nostra società. E che con l’annullamento di fiere e presentazioni per via del Covid-19, hanno visto crollare il 90% degli introiti, senza ricevere nessun aiuto dall’esecutivo, mentre i grandi gruppi di distribuzione hanno posticipato i pagamenti, mettendoli ancora di più in difficoltà.

Riportiamo il caso di Arpeggio Libero, una casa editrice indipendente di Lodi, uno dei primi comuni in zona rossa e tra i più duramente colpiti dalla tragedia del Coronavirus.

Arpeggio Libero nasce nel 2010, figlia della crisi internazionale di quegli anni che ha portato i fratelli Fabio e Manuela Dessole a riscoprire il loro amore per la letteratura, trasformando la passione in professione. E così, con impegno, dedizione e olio di gomito, estenuanti viaggi in tutta Italia e costante attenzione alla qualità, Arpeggio Libero in pochi anni si è affermata nel panorama editoriale indipendente italiano, guadagnandosi posti di spicco nelle più importanti fiere di settore, come il Salone del Libro di Torino o la fiera Più Libri Più Liberi di Roma, e inanellando una serie di best-sellers, premi letterari ma anche iniziative di beneficenza e collaborazioni con le scuole.

Oggi, tutto questo rischia di finire.

Le misure restrittive contro il Covid-19 hanno infatti portato all’annullamento di presentazioni, incontri letterari, le stesse fiere del libro (come il Salone di Torino) sono rimandate a data da destinarsi. Mesi di inattività che si traducono in una perdita economica incalcolabile, che una realtà indipendente come Arpeggio Libero oggi non può permettersi. Gli sforzi dei fratelli Dessole, assieme ai sogni di tutti i loro autori e le centinaia di storie che hanno preso vita nei loro libri, sono a un passo dal fermarsi per sempre.

La buona notizia è che ognuno di noi può fare un gesto concreto per aiutare Arpeggio Libero e tutte le altre realtà a rischio chiusura, con un semplice clic:

Firmando la petizioneIl Covid-19 sta uccidendo i piccoli editori: il Governo intervenga!” lanciata dall’autrice Marta Tempra sulla piattaforma Change.org, a sostegno dell’intero comparto editoriale italiano.

Acquistando i libri dell’editore tramite il sito arpeggiolibero.com, dove troverete uno sconto del 15% sull’intero catalogo e la possibilità di ricevere immediatamente l’ebook in omaggio all’acquisto del cartaceo (contattate in direct la pagina Facebook Edizioni Arpeggio Libero per ricevere consigli di lettura).

Condividendo questo articolo e la petizione in tutti i vostri canali social, per garantire che la voce di questo coraggioso imprenditore italiano, e di tutta la categoria, non rimanga inascoltata.

Chi scrive non muore mai: un concorso letterario in ricordo di Elena M. Coppa

“Chi scrive non muore mai”.

Ed Elena, la giovane scrittrice scomparsa ad appena vent’anni in un incidente stradale, il 14 settembre 2017, lo sapeva bene. In sua memoria, nasce quindi il “I concorso letterario Elena M. Coppa” per il 2018: un concorso che, oltre a tenere vivo il ricordo della giovane e del suo grande talento, vuole diffondere tra gli adolescenti la scrittura come mezzo di espressione del proprio sfaccettato mondo interiore.

In un mondo così veloce e pieno di input, un mondo che ci costringe a prestare poca attenzione a ciò che facciamo e poco tempo per riflettere, il modo più semplice per evadere e staccare la spina è quello di abbandonarsi di fronte ad un foglio bianco o ad un libro.” ci dice Elena, dalla quarta di copertina del suo libro postumo, “…il lago alle sette di sera – taccuino di una giovane scrittrice” (ed. Arpeggio Libero). “La nostra mente può stare tranquilla che in quel momento nessuno può darle una scadenza, un’angoscia di successo, non c’è una gara a chi fa meglio e più velocemente, può sentirsi libera di seguire solo il proprio tempo”.

Un messaggio di fondamentale importanza per i giovani, oggi sottoposti a una pressione e a una competizione sempre maggiori negli studi, nello sport, persino nei rapporti sociali. Ed è proprio a loro che si rivolge il premio letterario Elena M. Coppa: il concorso è infatti riservato agli studenti delle scuole secondarie di secondo grado, in due sezioni distinte per il biennio e il triennio. I ragazzi saranno chiamati a continuare sotto la forma di racconto breve un testo incompiuto di Elena, dal titolo “Suono”, fornendone un proprio sviluppo e conclusione originali.

Il tema, la malinconia: in un mondo che ci vuole sempre perfetti e che spinge a coprire il disagio con una facciata di felicità, il concorso invita i ragazzi a confrontarsi con questo stato d’animo. La malinconia, infatti, è da intendersi come tristezza di fondo, a volte inconsapevole, che porta ad un vivere passivo, ad un adattarsi agli avvenimenti esterni con la convinzione che non ci riguardino, o che in essi non possiamo avervi un ruolo determinante.

Il concorso, a partecipazione gratuita, è organizzato dall’Associazione culturale “Elena M. Coppa, il cielo negli occhi”, in collaborazione con il Comune di Bagnoregio (paese natale della scrittrice) e con l’associazione di giovani scrittori di cui Elena faceva pare, i Civita Writers. È possibile scaricare il bando e il modulo di partecipazione al seguente link, nella pagina facebook “Elena, il cielo negli occhi”, oppure alla mail di riferimento elenailcielonegliocchi@gmail.com, disponibile anche per chiarimenti e informazioni.

Il concorso, in scadenza il 30 giugno 2018, prevede un primo premio del valore di 500€, metà in denaro e metà in buoni acquisto libri, e targhe commemorative per i secondi e terzi classificati di ogni sezione. La premiazione si terrà il giorno 14 settembre 2018 a Bagnoregio (VT), in occasione di una giornata commemorativa in ricordo di Elena M. Coppa.

“La pace, per me, è il lago alle sette di sera e un buon libro”: con queste parole di Elena, che hanno ispirato il titolo del libro, si sintetizza lo spirito del premio letterario, di cui invitiamo a dare la massima diffusione.Locandina concorso

La palestra (istruzioni per il non-uso)

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È primavera. E in primavera, assieme agli uccellini, i fiorellini di campo e i germogli sugli alberi, si risveglia anche quel sesto senso stagionale per cui siamo famose noi donne. No, non quello della caccia, che ti fa aizzare l’ormone verso ogni esemplare maschile di passaggio. È quel senso di allarme sottile che si diffonde nell’aria assieme ai primi tepori, alle prime maniche corte, che ti porta a fronteggiare lo specchio e confessare a quel giudice implacabile ogni peccato alimentare commesso dalle lasagne natalizie di tua nonna ad oggi.

In poche parole, la prova costume.

E visto che da anni di queste “prove” non arrivi neanche al 6 politico, decidi che questa volta farai le cose per bene. Via ogni tipo di cibo spazzatura che tieni gelosamente custodito in dispensa – sì, anche le patatine alla paprika accompagna-film e il gelato in congelatore per i momenti sentimentali più devastanti. In un gesto di rinnovato proibizionismo, poi, arrivi ad eliminare anche tutti quei deliziosi liquorini che condividi con le tue compagne di sventura nelle vostre serate per single. E così, dopo aver trasformato la tua casa nella grotta di una asceta tibetano, circondata da carote, sedano e crusca, prendi una decisione epocale, di quelle che cambiano la vita, da cui non si torna indietro.

Ti iscrivi in palestra.

Ora. L’iscrizione in palestra avviene generalmente in due modi.

Modus Iscrivendi numero uno. Giuramento di sangue con la migliore amica dopo l’ultima giornata di shopping finita a jeans mai chiusi e rissa con la commessa-barbie che a vostro dire ha cambiato le taglie a tutti i pantaloni. In questo caso, come Ulisse con le sirene, avete affidato a lei la vostra risoluzione di andare in palestra, con l’ordine di ignorare stoicamente ogni vostra successiva ribellione e trascinarvi in salvo.

Modus Iscrivendi numero due. L’amica-ma-non-troppo, collega di lavoro strafiga con corpo da modella di Victoria’s secrets e metabolismo che scansati-Bolt-che-mi-rallenti, ti confida candidamente di mangiare ciò che vuole e smaltire tutto con una o due lezioni di pilates a settimana.

Insomma, quale che sia l’inganno che ti ha condotto lì, ormai hai varcato la soglia dell’inferno. Inizi a rendertene conto già mentre ti avvicini al desk, dove una receptionist vestita e truccata di tutto punto ti accoglie con un sorriso minaccioso da boa constrictor. Senza neanche accorgerti, la donna serpente dai capelli piastrati e gli orecchini tondi ti avvolge tra le sue spire e zac, da che eri entrata solo a chiedere informazioni ti ritrovi a lasciarle metà del tuo stipendio, sorridere vacuamente a una webcam e voilà, una tua foto raccapricciante ti guarda dal tesserino nuovo di zecca.

E va bene, ormai sei in ballo, bisogna ballare. Riesumi dall’armadio delle scarpe da ginnastica scolorite e una tuta che non usavi dai tempi del liceo, rubi un asciugamano a caso dal bagno e butti tutto in un borsone da calcio di origine ignota, ma che ormai è tuo per usucapione. Mollettone strategico in testa e niente trucco, perché si sa, dopotutto in palestra si va per faticare, bisogna stare comodi. Non c’è spazio per l’estetica, giusto?

Il tempo di strisciare il tesserino e varcare il tornello, e capisci di aver fatto la più grande cazzata della vita. Sì, perché attorno a te è tutto un pullulare di strafighe, dai completini coordinati in nero e colori fluo, con il trucco immacolato e i capelli in piega, che senza versare una goccia di sudore si adoperano ai loro attrezzi.

Passato il momento di imbarazzo adolescenziale, un deja-vu di quei sogni in cui ti ritrovi in mutande di fronte a tutti, decidi che non vuoi farti intimorire: di sicuro quelle saranno le classiche fighette che vanno in palestra a rimorchiare, ma in realtà non sanno muovere un muscolo. Un bluff, tutto qui.

Così, non appena una tipa alta col sedere alto, il seno alto, perfino la coda alta ai capelli, lascia un attrezzo, tu prendi il suo posto agguerrita, quasi con superiorità. Spostati, bambola, ora ti faccio vedere cosa fanno le persone normali.

Afferri il manubrio e… Cristo. Non si muove di un centimetro. Forse stai sbagliando l’impugnatura… eppure no, la tipa lo teneva esattamente così, come fa vedere il modellino nella figura esplicativa. E va bene, chissà, forse da bravo bluff ha cambiato il carico dell’attrezzo quando ha visto che ti avvicinavi.

Cerchi di consolarti così, mentre scali il peso. Da 20 a 15 kg, eh, giusto un pochettino. Che vuoi che sia. Eppure non si muove ancora.

10 kg. Macché.

5 kg, dai. Il peso più piccolo e stupido. Con uno sforzo sovrumano, al limite della trasformazione in super-sayan, afferri il manubrio ed evviva, si muove!

Ansimando, inizi a contare.

Uno…

Due…

Tr…

“Trenta” dici ad alta voce, vedendo un bel ragazzo con la magliettina attillata e il logo della palestra stampato sul pettorale sporgente che ti viene incontro. Lasci andare il manubrio con nonchalance, gli sorridi serafica mentre dei muscoli che ignoravi di avere sulle braccia – tricipiti, leggi sulla macchina – mandano lancinanti fitte di dolore.

“Tutto ok?” ti dice lui, in un sorriso abbagliante.

Ansimi qualcosa che vorrebbe essere un “certo”, appoggiandoti con disinvoltura alla parete: peccato che il sopraccitato tricipite tremolando decida di abbandonarti, facendoti perdere l’appoggio e rovinare a terra.

Ottimo. Ti rialzi, rifiutando con il poco di dignità che ti resta l’aiuto dell’Adone di fronte a te, che evidentemente è stato istruito a non ridere.

“Ti ho visto un po’ in difficoltà con quest’attrezzo. Forse per iniziare è meglio che usi questi” e ti porge dei piccoli manubri verde e arancio, in gomma, identici a quelli che hai regalato a tuo nipote di tre anni, a parte la scritta “Campione dei piccoli”.

Ah, no – scopri guardando l’altro lato – c’è anche quella.

Bene. Ingoiata la prima dose di umiliazione, decidi che la sala attrezzi non fa per te. Non appena l’istruttore dal nome figo che hai già scordato ti sorpassa, ti allontani in cerca di una sfida più adatta alle tue capacità ma meno degradante del bilanciere chicco. Schivi senza rimpianti la sala pesi, in cui l’aria è quasi irrespirabile per la concentrazione di testosterone e dove uomini dall’aspetto tendente al goblin sollevano pesi altrettanto mostruosi con urla e versi decisamente ambigui. E poi leggi un cartello che ti indica il paradiso, la salvezza.

Piscina.

Perché sapete, la piscina è democratica, livella tutto. Che tu sia una figa da paura o faccia paura e basta, nessuno e dico nessuno può risultare bene con costume intero schiaccia-tette, cuffietta in silicone e occhialini addosso. Garantito.

Un rapido cambio nello spogliatoio ed eccoti alla tua prima lezione di acquagym.

E lì, finalmente, respiri. Circondata da vecchiette con l’osteoporosi e floride mamme fresche di gravidanza, persino tu, che bardata a quel modo sembri appena uscita da un discovolante nell’area 51, inizi a sentirti bene, ripetendo i movimenti dolci e lenti che una simpatica istruttrice ti mostra.

Anzi, ti senti così bene che sei quasi dispiaciuta, quando la lezione finisce e si spegne la musica dolce dello stretching finale. Stai per seguire le altre in doccia quando una porta attira la tua attenzione: “ingresso spa”.

Oh, questa sì che è una bella sorpresa. Emozionata da questo lusso, ancora con gli occhialini addosso, ti precipiti in quella che sembra la soglia del paradiso.

E invece lì, lì è l’inferno più nero.

Penombra, aria umida e rovente, luci colorate e soffuse: l’unica cosa che riesci a distinguere è il colpo d’occhio della quantità di carne nuda che emerge dall’acqua ribollente dell’idromassaggio. Corpi statuari fasciati in bikini sexy escono talvolta dalla vasca per andarsi a rinfrescare sotto la doccia aperta e lo sguardo famelico degli uomini accovacciati nell’acqua.

E tu, con il tuo costumino slentato e la testa a lampadina nella cuffia, fuggi da quell’imminente baccanale per rifugiarti nella sauna deserta.

Oh. Un ambiente piccolo, in legno, in cui un piacevole calore ti accarezza mentre ti abbandoni contro lo schienale.

Sì sì, proprio un calore piacevole.

Ecco, magari giusto un po’ fortino. Ma piacevole, eh.

Non sono passati neanche dieci secondi che, grondante sudore, implori che qualcuno ti liberi da quella tortura.

E forse dopotutto qualcuno lassù ascolta le tue preghiere, perché la porta si spalanca, portando con sé una ventata di aria fresca e… quattro omaccioni nerboruti e villosi, che con la massima disinvoltura si tolgono gli asciugamani dalla vita e sfoggiano i loro gioielli di famiglia, accomodandosi sulla panca.

Sì, proprio la panca su cui tu sei stata seduta fino a un attimo prima e chissà quante parure di quei gioielli deve aver visto nel tempo.

Avvampando, fuggi senza neanche bofonchiare un “ciao” e scappi nello spogliatoio femminile.

Dopo tutto quello che hai passato, non fai quasi caso alle doccie a stanzone stile lager, alla totale mancanza di pudore e a signore attempate depilate alla perfezione che ti suggeriscono la loro estetista: una doccia bollente per cancellare ogni traccia e con il tuo borsone in spalla arranchi su per le scale, via dal girone dantesco in cui sei precipitata.

La ragazza-serpente del desk ti saluta con un minaccioso “A domani!” mentre tu stai scappando a casa sotto le coperte, pianificando di passarci i prossimi due mesi.

E mentre te ne stai lì, nel confortevole calduccio del lettino, con la tua serie tv preferita che scorre sul portatile e le patatine alla paprika accanto (perché sì, una piccola scorta te l’eri tenuta), ti rassegni a una grande verità.

Anche quest’anno, per la prova costume si punta sulla simpatia.